I giochi di una volta, cominciando dalla “conta”
I giochi hanno sempre rappresentato la prima forma di socializzazione per cui restano indelebili nella mente di ogni bambino «adulto» e per cui è facile parlare anche con una persona anziana e riuscire a riscoprire le regole di ciascuno di essi.
Erano per lo più giochi semplici, con mezzi ancor più semplici e si svolgevano all’aperto, quando la città, non ancora motorizzata, consentiva a strade vicoli e piazzette di diventare la prosecuzione di tante modeste abitazioni.
Siamo lontanissimi dall’era del gioco elettronico ma il gioco è sempre stato gioco per cui l’entusiasmo dei ragazzi è sempre stato lo stesso o dinanzi ad una modernissima consolle elettronica o rincorrendo una semplice palla di pezza.
Fra parentesi sono riportati i rispettivi nomi dei giochi in diversi dialetti della provincia di Foggia.
LA CONTA [U’ tùcche – U’ tucc]
Propedeutico ad ogni gioco e parte integrante dello stesso era «u’ tùcche», il tocco, la conta fatta per stabilire compiti, funzioni, precedenze, per formare le squadre che dovevano scendere in competizione ed evitare, già dall’inizio, incomprensioni, proteste, tafferugli, che spesso comunque non mancavano nel corso e alla fine del gioco trasformando il campo di gioco, appunto, in campo di battaglia.
La conta più semplice e sbrigativa, se i partecipanti al gioco erano solo in due, era «a pàre e dispere» (a pari e dispari). Dopo la preventiva scelta, individuale e segreta, fra un numero, da uno a cinque, da esprimere con le dita di una mano, ed aver scelto uno dei giocatori il pari, l’altro il dispari, i due giocatori, contemporaneamente, portavano in avanti la mano con tante dita aperte quanto il numero che volevano rappresentare. La sommatoria delle dita delle due mani automaticamente stabiliva a chi toccasse iniziare il gioco, dando ragione al primo se il numero era pari, al secondo se era dispari.
La presenza di più giocatori indirizzava verso altre forme di conta come quella che li vedeva messi in circolo e contemporaneamente, al comando «Tùcche a me, ùne, dùije e trè» tutti mostravano le dita di una mano che esprimevano un numero da uno a cinque. Dopo una veloce sommatoria chi si era incaricato di fare la conta diceva: «Da me sòpe a te», indicando il compagno alla propria destra, così la conta iniziava in senso antiorario fermandosi sul giocatore a cui corrispondeva il numero della sommatoria.
Altro metodo utilizzato, più gentile e quindi più affine e consono alle femminucce, era la conta, sempre in senso antiorario, con il dito indice di chi la conduceva che indicava i giocatori uno di seguito all’altro e portava il tempo di una cantilena.
Per esempio:
Gallina zoppa zoppe, quanda pènne tine ‘ncoppe,
e ne tine vintiquatte, une, dùije, tre e quàtte.
Oppure:
Alla làmbe alla làmbe, a chi mòre e chi càmbe,
a lu scurze e a la pellècchije, e se n’acchiappe une!!
Ancora:
Ambarabà cicci coccò, tre civette sul comò
che facevano l’amor con il figlio del dottor,
il dottore si ammalò, ambarabà cicci coccò
Ancora una:
Cecerenèlle tenève tenève, nen sapève che tenève,
Cecerenèlle tenève nu gàlle, tutte ‘a notte ijève a cavalle
Ed infine:
Une a me, une a te, une a’ figghije de lu re,
e si u’ re ne vòle cchiù, te li màgne tutte tu
Alla fine della conta: «Sòtte a chi tòcche!!» e il gioco aveva inizio.
Oppure, i primi due individuati dalla conta sceglievano, alternativamente, i compagni di squadra.
a cura di Raffaele De Seneen