Perché Auser dice no all’autonomia differenziata
Auser ribadisce il suo netto «no» al progetto di autonomia regionale differenziata propugnato dal governo Meloni: disegna un Paese frammentato e sempre più disuguale, mina la riforma del terzo settore, a partire dal ruolo centrale delle reti associative”. Sulla questione, il presidente nazionale, Domenico Pantaleo, ha diffuso un’approfondita nota che riportiamo di seguito.
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Ribadiamo la nostra preoccupazione per il prosieguo dell’iter del disegno di legge presentato dal Ministro Calderoli, approvato a maggioranza nei giorni scorsi dalla Conferenza delle Regioni. Siamo contrari a una idea di autonomia che disegna un Paese frammentato e sempre più disuguale. Bisogna in primo luogo garantire un processo democratico che invece è del tutto assente nelle procedure di approvazione del disegno di legge. Si prevede una trattativa fra Governo e singole Regioni marginalizzando la funzione del Parlamento e non prevedendo alcun confronto con le forze sociali e il terzo settore.
Nei nostri valori di riferimento la sussidiarietà significa integrare le politiche pubbliche con una azione degli enti del terzo settore per una migliore qualità dei servizi mettendo al centro i diritti della persona indipendentemente da dove si nasce e si vive. Una logica esattamente opposta a quella del disegno di legge che invece determina un ulteriore inaccettabile frammentazione nella tutela della salute, dell’istruzione e dei servizi offerti alle comunità. L’approvazione di quel disegno di legge minerebbe la riforma del terzo settore a partire dal ruolo centrale delle reti associative nella promozione su tutto il territorio nazionale di esperienze di socialità e solidarietà per una cittadinanza attiva.
La stessa iscrizione al Runts per acquisire la qualifica di ETS, con relativi diritti e doveri, perderebbe il ruolo assegnato dalla legge con un ritorno al modello nel quale ogni Regione definirebbero proprie regole nel funzionamento degli enti. Si metterebbe così in discussione lo spazio giuridico e politico del terzo settore come un soggetto strategico di interesse nazionale nei processi di sviluppo non piegato alle logiche del mercato e non ridotto a semplice erogatore di servizi. Le politiche pubbliche devono continuare ad essere strategiche per coniugare una giusta transizione ambientale e digitale con una maggiore giustizia sociale. Non si può pensare di superare un presunto centralismo dello Stato con venti centralismi regionali non rafforzando la funzione dei comuni attraverso investimenti per aumentare le risorse umane e le competenze professionali indispensabili per fare fronte a compiti sempre più complessi.
Non siamo contrari, a priori, a maggiore forme di autonomia ma devono essere collocate nel solco dei principi e valori della nostra Costituzione che mettono al centro dell’intervento pubblico la salute, l’istruzione, il lavoro come diritti da garantire in modo universale su tutto il territorio nazionale. La questione meridionale deve tornare ad essere centrale nell’agenda del Governo e invece si teorizza uno sviluppo dell’Italia a due velocità mentre si allargano i divari economici e sociali. È francamente inaccettabile che rispetto alla necessità di una maggiore coesione e inclusione si risponda con le piccole patrie e il prevalere degli interessi particolari su quelli generali.
Servono perciò preventivamente regole per le materie trasferite, individuati i livelli delle prestazioni e garantita la certezza di finanziamento. Su qualunque materia si voglia trasferire alle Regioni devono essere fissati i principi generali. Diversamente avremmo una giungla normativa e dei diritti oltre a indebolire la governance unitaria sulle scelte strategiche per un diverso modello di sviluppo sostenibile. Occorre assicurare le risorse necessarie per i Lep, da garantire in maniera omogenea in tutti i territori superando la iniquità della spesa storica. Per questa ragione i livelli essenziali delle prestazioni devono essere definiti per legge e non possono essere affidati a un dpcm che è un atto amministrativo.
Il Parlamento deve essere messo in grado di discutere e definire i contenuti della legge e la relativa copertura finanziaria. Le forze sociali e le diverse rappresentanze istituzionali devono essere coinvolti perché stiamo discutendo del modello sociale.
È falso che trasferire alle Regioni maggiori poteri sulle 23 materie di competenza dello Stato migliorerebbe la qualità dell’intervento pubblico perché l’esperienza della pandemia ci insegna che non è così ma invece aumenterebbe il divario fra i territori più ricchi e quelli con maggiore disagio economico e sociale e quelle differenze sarebbero destinate ad aumentare.
Domenico Pantaleo
Presidente Nazionale Auser