Franco Dambra, una vita esemplare
La Gazzetta del Mezzogiorno ha dedicato una pagina al ricordo di Franco Dambra, dirigente Cgil ed Auser, prematuramente scomparso nello scorso mese di luglio. Lo splendido articolo di Domenico Dalba, racconta la “sua vita esemplare”, interamente spesa per rispondere “ai bisogni ed esigenze delle famiglie, alla fragilità dei più deboli, disoccupati, precari, anziani, ammalati, donne, disabili, zingari, prostitute, omosessuali”. Di seguito il testo e le immagini che illustrano l’articolo.
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Franco Dambra, una vita esemplare
Studi, lavoro e passioni di un politico e sindacalista votato alla difesa dei più deboli
Arrivederci, Franco. Ti sei sempre integralmente votato alla vita quotidiana delle persone. Hai sempre risposto ai bisogni ed esigenze delle famiglie, alla fragilità dei più deboli, disoccupati, precari, anziani, ammalati, donne, disabili, zingari, prostitute, omosessuali. Ai senza tetto, come l’anziana Laura, (reduce della guerra nel Montenegro) addossata di giorno alla farmacia di via Alvisi o distesa nel sottovia di via Imbriani con moncone di gamba e protesi in vista, di notte rannicchiata in una tenda sotto una campata della 16 bis. Quante volte hai detto: “Se i diritti non sono per tutti, sono privilegi!”
STUDIO E LAVORO
E congiuntamente non hai mai dato le spalle ai doveri. Anzi. Non hai fatto mai mancare, infatti, il tuo sostegno di dirigente amministrativo nella scuola media «Ettore Fieramosca», anche ultimamente hai raggiunto la segreteria, pur avendo un valido certificato medico in tasca. Innumerevoli volte, hai ribadito: «Chi si assenta dal lavoro ingiustificatamente è un ladro che mette mani nella tasca del datore di lavoro o dell’intera collettività». Poi aggiungevi: «Deplorevole è il comportamento di chi non offre il meglio di sé nell’espletamento delle proprie mansioni o funzioni.
Frequentavi il ginnasio, quando ti conobbi a San Ferdinando. Ero andato con una mini, e tu avevi raggiunto col pullman di linea il paese che conserva nei locali della Cgil, come sacra reliquia, la bandiera intrisa del sangue dei contadini uccisi dalle forze dell’ordine nel dopoguerra nella lotta per la distribuzione delle terre. Parlava il mitico Gino Giugni, il padre dello Statuto dei lavoratori. Eri esultante, all’uscita! Colorito nel volto. Raggiante. Effervescente. Non stavi nei tuoi panni. Mi chiedesti un passaggio in macchina per il ritorno. La commozione portò te, imberbe, a dichiarare a me già docente con vistosa barba alla Fidel Castro: «Quante lotte per ottenere questo giusto e sacrosanto riconoscimento! Molto sangue innocente è stato versato». Fui sorpreso e compiaciuto per la sensibilità e la maturità di pensiero. Durante il viaggio, mi riferisti che avevi partecipato alla manifestazione contro l’arroganza e la prepotenza degli Stati Unit nei confronti del Vietnam del Nord. In tutto il mondo era girata, in quei giorni, la drammatica fotografia di Kim Phuc Phan Thi, la bambina vietnamita che agonizzante correva a perdifiato per le sofferenze prodotte dalle ustioni delle bombe al napalm lanciate da un aereo sul suo inerme villaggio.
QUALCHE ANNO DOPO
Qualche anno dopo, mi parlò di te, Annamaria Acquaviva, tua amica del Liceo classic «Alfredo Casardi», figlia di Marco, autista di pullman, combattivo comunista, che da San Ferdinando frequentemente mi portava a Barletta. Ti stimava per tua disponibilità ad offrire suggerimenti, spiegazioni e sguardi di incoraggiamento a studenti di umile estrazione, che annaspavano navigando nelle faticose acque della cultura. Ti rividi ai giardini pubblici della stazione ferroviaria nei pressi di una buganvillea, struggente per bellezza, sotto lecci e palme che un dissennato governo della città avrebbe copiosamente sradicato per fare posto a basole calcaree e ad una pacchiana fontana ornamentale, sovente lurida pozzanghera. Mi complimentai per la lucidità del tuo intervento, la conseguenzialità dei tuoi passaggi, la freschezza delle tue idee, l’autentica passione che sgorgava dal tuo animo. Parole di lode ebbe per te, anche Giorgio Nebbia, l’antesignano naturalista, che si batteva come un leone per risollevare le sorti del pianeta. Anni di maggiore consapevolezza ambientale, di fermento politico, di più rose prospettive economiche per il futuro, e tu sempre presente in tutte le manifestazioni. In prima linea, sventolando bandiere, al Primo Maggio, distribuendo volantini, cantando «Bella ciao», «L’Internazionale» e in tutte le occasioni in cui i diritti civili sociali e politici venivano calpestati o pacificamente pretesi. Ardeva veemente in te la fiamma della politica, come sevizio, attizzata, agli esordi della vita nel focolare della famiglia, da papà Antonio, operaio della Montecatini.
LA LOTTA
Coraggioso genitore, sceso in piazza nel marzo 1956, assieme a Giacomo Corcella, Domenico Borraccino, Gianni Damiani ed altri pugnaci politici, per guidare e sostenere la lotta di tremila barlettani, affamati, inverno rigido, un metro di neve in città per giorni, che pretendevano, gli irresponsabili, un’equa distribuzione dei pacchi di cibo arrivati dall’America. Finito brillantemente il liceo, avendo una gran voglia di renderti utile, entrasti nel mondo del lavoro, come operaio. Amavi anche studiare, tanto. Avevi cominciato, infatti, a frequentare l’Università, ma le lezioni accademiche, le sentivi troppo lontane dalla tua sensibilità, avvezza a impegnarsi per i drammi quotidiani, le lacrime e le speranze della gente umile.
Presto La Cidneo, l’azienda dei sanitari in ceramica, chiuse i battenti e ti trovasti nella folta schiera dei «lavoratori socialmente utili». Misera, l’indennità. Sbarcare il lunario in quel periodo fu faticoso, ma comprendesti sulla tua pelle la fatica del sopravvivere con quattro spiccioli, elargiti altezzosamente da uno Stato che non ha mai voluto affrontare seriamente la tragedia dell’immensa evasione fiscale e disdegnava di porre mano a un dignitoso reddito di cittadinanza universale, non subordinato al lavoro, e a un equo salario minimo legale.
Quell’elemosina offendeva la tua dignità di lavoratore e di cittadino, tutelato invano dalla nobile Costituzione, grondante democrazia. Intanto studiavi come un forsennato per il concorso pubblico di dirigente amministrativo nell’Istituzione scolastica, che superasti brillantemente. Intanto la militanza politica nel Partito comunista italiano e poi nei Democratici di sinistra ti assorbiva sempre di più. Che gioia per te impegnarti per la collettività e, congiuntamente, che fatica militare con gente che già ammiccava alle istanze liberistiche di un libero mercato privo di vincoli dello Stato. Che sofferenza, poi, per te, integerrimo, venire a sapere che in città e nell’Italia intera molti politici si lasciavano corrompere o frequentavano soggetti malavitosi. Defraudando, così, la collettività e saccheggiando le risorse del paese, inducevano, con la loro condotta vergognosa e criminale, la gente comune a pensare che tutti si piegavano alle tangenti e pratiche clientelari. Il tuo stile di vita, invece, era immacolato. Tu, invece, mai chiacchierato in tanti anni di impegno politico!
LA TENACIA
La tua tenacia ti portò a divenire vice sindaco ed assessore all’Urbanistica. Mandati che assumesti con grande professionalità, responsabilità, senso del servizio e onestà. Non appena però ti accorgesti di poter finire invischiato in operazioni ai limiti della legalità, capaci di causare il sacco di parte della città, facesti un passo indietro. Non eri fatto per il potere ad ogni costo. Ti incrociavo allora sovente su corso Vittorio Emanuele in prossimità del Palazzo di Città, immancabilmente a piedi. Ti riconoscevo da lontano, inconfondibilmente frizzante l’andatura, libri e quaderni sotto il braccio, pronto a dare soddisfazione a tutti quelli che ti interpellavano.
Mai favori, a nessuno, esclusivamente attenzione agli interessi della collettività. Rifuggivi dal tornaconto personale ed agognavi alla valorizzazione del beni comuni ed al benessere di tutti. Arrivavi persino a mettere mano alla tua tasca, quella di un modesto lavoratore, tutte le volte che era necessario. Per fare manifesti e volantini o pagare il telefono del la sezione. Sempre pronto al dialogo, ascoltavi prestando umilmente grande attenzione agli interlocutori. Immancabilmente chiedevi: «Che ne pensi?». Eri pronto a fare marcia indietro se le proposte degli altri erano più efficaci e produttive delle tue. Conoscevi perfettamente la linea della tua formazione politica, e possedevi piena padronanza delle tesi degli avversari che ti rispettavano per la tua lealtà ed onestà intellettuale. Diremmo, eri un uomo di altri tempi, con te bastava la stretta di mano, inutile la presenza del notaio.
PANE AL PANE
Pane al pane e vino al vino, con tutti. Non eri capace di fingere. La sincerità e la trasparenza erano le tue bandiere, anche se il comportamento improntato all’autenticità ti penalizzava nelle urne. Detestavi visceralmente il voto di scambio. Né facevi promesse che non avresti potuto mantenere, perché ardevano in te fiammate di concretezza su temi reali ed obiettivi perseguibili. Anche nel dirigere il sindacato, la Cgil, hai dato prova di grandi capacità organizzative. Non ti tiravi mai indietro, quando c’era da rimboccarsi le maniche, dal difendere strenuamente i lavoratori, e reagivi con fermezza se dovevi scontrarti con retrive forze burocratiche, sia locali, che regionali e nazionali. Gli iscritti e gli assistiti si rivolgevano a te con somma fiducia. Eri seduto in prima fila al teatro Curci, quando il vescovo Tonino Bello, uomo della Chiesa in odore di santità, ebbe un incontro pubblico con la gente. Ascoltasti le sue profetiche parole con grande attenzione ed interesse. Eri persino
estasiato, perché trovasti conforto alle tue salde convinzioni religiose, a una fede vista come testimonianza, e non come orpello o convenienza. Eri iscritto all’ Associazione nazionale partigiani d’Italia, il cui direttivo era formato da giovani che portavano avanti onorevolmente le istanze della Resistenza. L’emerito preside Roberto Tarantino e tu avevate fatto largo a fresche e scalpitanti energie giovanili.
Ci siamo sentiti poco tempo fa, l’ultima volta. Eri ammalato, vedevi appena una lucina in fondo al tunnel della tua malferma salute ma, dimenticandotene per un momento, il pensiero corse all’imminente abisso politico, economico e sociale dell’Italia.
Mi sembrò di vedere nella tua bocca l’urlo di Munch quando il discorso si spostò sui tanti lavoratori, circa 1.500, che ogni anno perdono l vita nei cantieri, nelle campagne, nelle officine.
POLITICA E PARTECIPAZIONE
La tua vita, Franco, è una denuncia contro tutti quelli che hanno sempre abusato del potere, declinato e vissuto come dominio, come estrazione; contro la scarsa partecipazione di ampi strati della popolazione. Al contempo, vuole essere un caldo appello ad abbracciare l’umanità vicina e lontana, a stringere la natura con la stessa passione che si rinviene nel quadro «Il bacio» dell’artista viennese Klimt. Grazie di essere esistito. Non ci stancheremo di raccontarti con ardore e di incarnare i tuoi saggi insegnamenti con la testimonianza e la partecipazione attiva, dappertutto, in ogni contesto, contro ogni prevaricazione, con «l’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza».
Domenico Dalba